Cosa fai e cosa hai messo attorno a questa parola che è “architetto”, che chiaramente ti ha impegnato anche come studente, per arrivare a diventarlo? Io sono un architetto un po’ particolare, nel senso che sono un po’ un ibrido. Sono sempre stato molto influenzato da quello che adesso è molto di moda, l’enviromental, tutto quello che è naturale, ambientale. Quindi grande passione per scoprire i luoghi della bellezza italiana, ma anche umanizzare nell’architettura gli ambienti, gli spazi, come equilibrio tra uomo e natura. Questo principio ha sempre guidato il mio approccio. Ma soprattutto credo che l’architettura sia una sorta di educatore. I grandi educatori sono la famiglia, sono se vogliamo le nostre comunità, gli amici, però c’è anche lo spazio che è un grande educatore. Spazio che diventa educatore, in che senso? Anche questo, non sembrerebbe che uno spazio abbia possibilità di parlarci, di dirci delle cose, addirittura di educarci. In che modo lo spazio lo fa? Il fatto di avere un approccio con uno spazio che, con i colori, con i materiali, con la luce naturale, con l’osservazione del paesaggio, ti educa alle attività e al principio di appartenenza: tu sei parte di qualcosa, non sei solo tu. E soprattutto anche l’altro tema, sempre nella famiglia, il tema dello sport, il tema del tempo libero, cioè di stare anche in armonia con quello che c’è all’aperto, poterlo vedere, banalmente, quindi grandi aperture, grandi vetrate, il rapporto virtuoso tra ambiente interno ed esterno. Credo che l’architettura, il suo successosia nel creare luoghi felici, luoghi umani, luoghi amorevoli e luoghi che non invecchiano.